65. Esposto contro il direttore della Caritas





26.05.2008



Alla Procura della Repubblica
Presso il Tribunale di Firenze




Esposto-Denuncia
Ipotesi di reato
Si ipotizzano i reati di abuso di potere e diffamazione. Tali reati hanno inizio a partire dall’anno 2006 e sono reiterati in varie occasioni nel corso del 2007 e 2008, determinando l’attuale situazione e conseguenze a nostro danno. Uno dei principali responsabili è individuabile nella persona del  direttore della Caritas di Assisi (PG), nonché delegato regionale della Caritas Umbra, nel periodo di nostra permanenza in Assisi. Attraverso la sua posizione, il direttore ha influenzato i Centri di Ascolto Caritas e altre associazioni che forniscono aiuti a persone in difficoltà, affinché non ottenessimo nessun aiuto sia in Umbria sia fuori regione.

Premessa sulla Caritas

La Caritas è l’organismo della chiesa Cattolica, il quale si occupa, tra le altre cose, di aiutare i bisognosi, italiani e stranieri. Tramite i mass media la Chiesa Cattolica suggerisce al cittadino l’assegnazione dell’8 per mille, attraverso una firma posta nella dichiarazione dei redditi, con la finalità di soccorrere tutti, attraverso la Caritas. Fra i servizi di sostentamento offerti ai bisognosi vi sono le mense dei poveri, i dormitori e le case di accoglienza per italiani e immigrati, case famiglia e cosi via…. In molti casi, la Caritas gestisce, attraverso appositi contratti stipulati con i comuni o altri enti, le cose pubbliche; a Terni o a Pescara i dormitori sono di proprietà del comune, ma gestiti dalla Caritas. In altri comuni le azioni di sostegno sono attuate con altre sinergie. Rivolgendoci più volte, per questioni di necessità, alla Polizia di Stato, ai Carabinieri o ai  Comuni siamo stati rimandati sempre alla Caritas.Questa premessa serve per indicare come tale organismo, pur considerato privato, sia a tutti gli effetti e di fatto un organismo pubblico, al quale le stesse forze dell’ordine o Comune chiedono e demandano servizi, e tutti si appoggiano in caso di necessità. La Caritas dunque assume un ruolo importantissimo perchè raccoglie da un lato varie offerte dalla chiesa Cattolica e dall'altro vari contributi dalle prefetture e dalla Comunità Europea per la "gestione" degli extracomunitari. Dunque la Caritas ha un grande potere economico e politico, e per le questioni di sicurezza sociale ha intensi rapporti di lavoro con le forze dell'ordine, perchè si trova ad aiutare ceti sociali poveri e persone legate a giri di prostituzione, droga. Molte volte ospita persone agli arresti domiciliari o ex-detenuti, zingari e funge da intermediario per il popolo delle badanti.  Ad Assisi, ad esempio, come ci diceva l'operatrice stessa, vi erano molti spacciatori che venivano a mangiare in mensa. Insomma come si dice, a chi si presenta a chiedere un pasto o da dormire lo si offre e basta, almeno in alcune mense. Ma non è sempre così, perchè alla fine i più penalizzati sono gli italiani che si trovano magari per questioni accidentali, dentro una situazione di per sé pericolosa, non abituati a convivere con questa tipologia di persone. Per quanto abbiamo visto, anzi gli italiani hanno minori possibilità, perchè per loro si effettuano controlli sul reddito, devono fornire  mille spiegazioni e così via; forse gli italiani pesano maggiormente sul bilancio, ricevendo probabilmente per gli stranieri, a differenza degli italiani, dei contributi. Da un articolo apparso sul "Messaggero" del 1 novembre 06, emerge che l'Umbria, da sola utilizza 1/3 del fondo nazionale stanziato per l'aiuto agli stranieri. Dunque l'Umbria è veramente una grande terra dell'accoglienza. Vi è dunque parecchio giro di persone, che si affacciano alla realtà Umbra a chiedere un aiuto, per le varie offerte, ed è ovvio che i dirigenti debbano prendere serie misure di sicurezza e fare i dovuti controlli. L'Umbria gode poi di entrate particolari nella chiesa Cattolica, grazie all'afflusso di turisti internazionali ad Assisi e Cascia, come pure di innumerevoli strutture di accoglienza gestite dal popolo di religiosi.

Va detto dunque che la Caritas normalmente raccoglie informazioni sulle persone , attraverso i vari operatori. Per quanto da noi di fatto constatato, gli operatori, oltre a raccogliere le informazioni dai diretti interessati, contattano gli altri punti Caritas, il comune di residenza, eventuali assistenti sociali, le famiglie d’origine, ed hanno dei rapporti particolari con le forze dell’ordine con le quali collaborano. Normalmente questa operazione serve per una certa trasparenza, per evitare abusi, e per la sicurezza sociale, oltre che per la tutela dell’individuo stesso. Abbiamo notato, come non sempre, tali operatori siano formati per fare questo lavoro, perchè sono in gran parte dei volontari, mentre altre volte sono persone che loro stesse in passato avevano bisogno e sono state inserite in questi contesti lavorativi, per dare loro un alloggio e un lavoro, ovvero alcuni operatori di case di accoglienza, sono loro stessi degli ex-ospiti che hanno maturato di grado.

Per noi, questa “rete” informativa si è trasformata di fatto in un vero e proprio laccio, che ci ha creato danni a non finire e diffamazioni sulla nostra persona. Basta che qualche persona del circuito “Caritas” inserisca nelle schede delle informazioni errate, volutamente o no,  e queste informazioni vengono propagate nell’intero circuito. Per noi, per quanto descritto in esposti precedenti, è facile che qualcuno possa aver fornito a questi operatori delle notizie false, al fine che fossimo isolati e non aiutati.
Di fatto abbiamo constatato come la Caritas decida di aiutare o meno le persone, alle volte proprio sulla base di queste informazioni e decida così sul futuro delle persone stesse, senza dover mai dare spiegazioni ai diretti interessati e a volte senza mai verificare se tali informazioni sono attendibili.
Noi ci trovammo varie volte rifiutati, con le parole :-“Ci sono informazioni sul vostro conto che non sono chiare, non ce la sentiamo di tenervi”. Tali informazioni vennero poi propagate anche ad enti e associazioni di volontariato esterne, che finirono per abbandonarci a noi stessi. A poco sono serviti gli interventi della Polizia, o un verbale dei Carabinieri, o semplicemente una supplica di misericordia, per convincere questi enti, che proseguirono diretti per la loro strada e con le loro inamovibili idee sulla nostra condotta, eretti ad ispettori e giudici.
Come dimostrato da una mail inviataci dalla Caritas di Assisi il 18 aprile ’08, il direttore ci dipingeva come persone dalla vita disordinata, in ogni settore, incluso quello morale e psicologico: per tal motivo  non aveva e non ha mostrato alcun rispetto riguardo le nostre volontà, idee, il nostro vissuto e quanto da noi riferito riguardo all’allontanamento forzato dal Veneto. La decisione della Caritas di Assisi di rispedirci a tutti i costi a Vicenza, presa ancora nel 2006, fu trasmessa alle Caritas di altre zone che si allinearono a tale comportamento: varie strutture non vollero aiutarci, o semplicemente ci preclusero la strada per trovare un lavoro dignitoso. In alcuni casi ci diffamarono, distorcendo le informazioni, e presentando un quadro falsato della situazione.

Ogni qualvolta abbiamo chiesto precisazione o indicazioni su queste informazioni negative in loro possesso, non ci fu mai riferito nulla, tutto rimase sempre vago e incerto. Questo determinò l’impossibilità di poterci difendere opponendo elementi validi o circostanziati a queste diffamazioni. Ma alla fine queste parole fecero allontanare anche le persone che avevano già espresso l’intenzione di aiutarci.

La Caritas, gode di fatto, all'interno dello stato, di una sorta di "immunità", di una specie di extra-territorialità anche per il fatto che è un organismo della Chiesa Cattolica: questo in qualche maniera ci ha anche protetto, ma d'altro canto, se ti capita qualche disavventura, non riesci a difenderti, dovresti solamente uscirne, senza trovare però nessuna alternativa di aiuto, visto che lo Stato Italiano manca assolutamente di case di aiuto, mense e così via . Lo Stato sociale dunque sembra non esistere. Lo Stato prevede tipologie di aiuto solamente per i pentiti di mafia o cose del genere e non per il cittadino caduto in disgrazia. Questa purtroppo è una triste realtà che dovrebbe andare modificata.

La Caritas poi, dà le sue disposizioni ad altri enti come gli istituiti di suore: nel caso si presentino delle persone o famiglie a chiedere un aiuto o sostegno, queste devono essere necessariamente rimandate ai centri Caritas, che sono preposti per questo. In questa maniera la Caritas diventa un’istituzione totalitaria che pericolosamente può decidere il futuro delle persone e pure influire in maniera considerevole sugli organismi con cui è relazionata, come ad esempio il comune, assistenti sociali, forze dell’ordine.

I volontari, e le persone che lavorano all'interno di questi organismi diventano delle persone con un determinato peso, con un certo potere con una rete di relazioni in grado di interagire con le forze dell'ordine, assistenti sociali, chiesa cattolica. Infine vi è, in molti casi ua certa popolarità sociale. Questi aspetti sono importanti per capire le dinamiche di quello che può accadere in questi luoghi.

La nostra Vicenda

Siamo giunti ad Assisi a fine Marzo 2006 ed in stato di bisogno, siamo stati accolti nella casa di prima accoglienza della Caritas di Assisi, in via D’Annunzio. Gli operatori della Caritas acquisirono varie informazioni, e noi per l’occasione spiegammo,nel possibile, la dinamica di quello che ci era accaduto, mostrando a tal proposito, anche alcuni documenti “ufficiali”, come la ratifica di una denuncia querela, da noi depositata, per alcuni di questi fatti. Da tale denuncia risultavano indagate le nostre famiglie e il comune.

Dopo alcuni mesi di permanenza in Caritas di Assisi, il direttore, chiamò le nostre famiglie di origine (così ci disse all’epoca la responsabile A. C., cosa che comunque era d’uso e consuetudine come da noi appurato, per altri casi verificatisi in concomitanza la nostra permanenza nella struttura). Forse il direttore ha ventilato alle famiglie d’origine la possibilità di ospitarci nella struttura in seguito al pagamento di una retta. Abbiamo infatti appurato, anche presso altre regioni, che le case d’accoglienza forniscono dei servizi in seguito al pagamento di una retta, versata dal comune ove gli ospiti hanno la residenza o dalle famiglie; la retta può essere pagata dalla Caritas stessa, se questa decide di farsi carico della persona.

I contatti con le famiglie d’origine vicentine si sono svolti a nostra insaputa. Rimanemmo sbigottiti perché avevamo riferito, a tale responsabile, dei gravi problemi avuti con tali famiglie, tanto che la stessa Curia di Padova, dopo alcune indagini, ci fece sposare nel 2004, “per gravi motivi”, senza pubblicazioni ecclesiastiche, posticipando la registrazione civile a matrimonio religioso avvenuto. Il matrimonio era stato celebrato nel comune in cui non eravamo residenti ed il prete ci aveva trovato egli stesso i testimoni.

Di lì a poco, in Agosto 2006, fummo rimessi in strada grosso modo con le parole: - “Tornatevene in Veneto, là avete soldi e casa”. Da lì, da quel contatto, con l’”abisso” veneto, arrivarono nel circuito Caritas, varie diffamazioni sul nostro conto, provenienti da quell’ambiente malsano, una specie di clan, che coinvolgeva le nostre famiglie e alcune personalità eccellenti di quel luogo.


L’ampliamento del problema.

In poco tempo, la nostra situazione generale ci spinse a chiedere aiuto ad altre Caritas in Umbria. A Gubbio chiedemmo un aiuto, spiegando del malinteso sorto ad Assisi, ma il direttore don B., il 5 Dicembre ’06, ci consigliò di uscire dall’Umbria, perché sicuramente non avremmo più ricevuto aiuto in questa regione, per i malintesi sorti con il direttore di Assisi. Ci diede pure 100 Euro, con tanto di ricevuta per le spese del treno. Pochi giorni dopo provammo a Spoleto, dove incontrammo fortunosamente il Vescovo, che ci pernottò un albergo per la notte e ci assicurò che lì da loro i servizi sociali funzionavano bene. Ma a Spoleto telefonicamente, il 9 Dicembre ’06, ci imbattemmo in un sacerdote vicentino, che ci rispose, grosso modo, senza mai averci visto:- “Oh, i due veneti che si fanno le ferie in Umbria a spese della Caritas”. Questo evidenzia che in Umbria si era già sparsa questa chiacchiera infondata, e anche qui si chiusero le porte. Provammo allora a cercare un aiuto qualche giorno dopo a Città di Castello. Al nostro arrivo il 15/12/06, in un primo momento gli operatori furono disponibili. Ci chiesero se eravamo già stati in Caritas, e noi, rispondemmo :- “Ad Assisi”. Il giorno successivo, dopo che ci fu il contatto tra Città di Castello ed Assisi, il responsabile della casa di accoglienza maschile di Città di Castello ci disse in tono decisamente negativo:- “Ci sono cose che non sono chiare nei vostri confronti!”. Comunque Città di Castello, non si allineò completamente con le altre Caritas perugina, e questo ci permise di rimanervi per circa due settimane, poi ci mandarono a Terni, fuori dal perugino, senza il rituale colloquio con il Centro d’Ascolto.

Gli operatori della casa di accoglienza di Terni, amici/conoscenti di A.C., responsabile della casa di accoglienza di Assisi, si allinearono con Assisi: avevano già deciso che razza di persone dubbie fossimo, ed ogni nostra azione era interpretata in questo senso. Nonostante tutto questo, grazie ad un capo ispettore della Polizia informato sui fatti, all’interesse mediatico suscitato da un articolo di giornale sulla nostra vicenda, e la comparsa come ospiti in diretta in TV, su RAI DUE, continuammo la permanenza in Terni. Gli appelli fatti in diretta TV, a Piazza Grande, non fornirono alcun risultato sperato, la Caritas non ci interpellò. Non ci fu offerto nessun lavoro: quello che trovammo fu solo grazie ai nostri sforzi. Non fummo nemmeno mai aiutati per acquistare un paio di occhiali da vista, pur avendolo posto la richiesta per iscritto!

Le condizioni di vita patite, il rimanere fuori durante la giornata con la febbre e il lavoro precario di Giovanna non ci permisero mai di uscire da quella condizione.

Verso novembre 2007, i fatti precipitarono nuovamente. Matteo si ammalò gravemente e fu ricoverato all’ospedale d’urgenza. Il lavoro di Giovanna a inizio di gennaio ’08 finì, senza preavviso e ci ritrovammo al punto di partenza.

Ci aiutò il  presidente dell’Associazione San Martino di Terni, organismo attraverso il quale opera la Caritas diocesana ternana. A.P., ormai resosi conto dei problemi che avevamo avuto con gli operatori Caritas e con il direttore, per la rete di chiacchiere insinuata nel circuito, proveniente da Assisi, si rese disponibile direttamente. Tentò lui stesso di trovare una strada in Umbria, ma, constatando personalmente che non vi erano possibilità, si arrese, e ci diede un contributo economico per uscire dall’Umbria. Provammo a cercare aiuto a L’Aquila, ci spedirono in un dormitorio a Pescara.

A Pescara, pur fuori regione Umbria, ricominciarono i problemi del circuito Caritas. Alla fine grazie all’interessamento di un prete, venimmo a sapere che la Caritas di Pescara aveva preso delle informazioni su di noi e non se la sentiva di tenerci, dicendoci grosso modo “che vi erano delle cose non chiare sulla nostra situazione”. Il direttore della Caritas di Pescara disse al prete che raccontavamo un mare di sciocchezze, e questo lo sentimmo con le nostre orecchie dal telefono in viva voce. Non riuscivamo a capire quali fossero queste informazioni. Non riuscimmo a venire a capo di quali fossero queste cose, nemmeno con l’aiuto del prete, il quale, non era comunque contento che dormissimo in strada e capendo che non vi era strada in quella direzione, decise di cercarci lavoro attraverso le sue conoscenze. Ci aiutò in tutti i modi possibili, ma nel frattempo finimmo a dormire effettivamente per alcuni giorni in strada, in stato di pericolo e non in buona salute.

Il prete tento di trovarci una strada presso l’Istituto don Orione, sempre a Pescara, ma l’economo don Nicola, non volle assolutamente aiutarci. Il prete rimase titubante e ci fece entrare per una notte nella struttura attraverso l’intermediazione diretta del direttore dell’istituto don Natale. Questo non fece altro che creare altri attriti perché don Nicola, sentendosi scavalcato, si arrabbiò furiosamente. Passammo altri giorni in strada e alcuni giorni in albergo grazie alla questua fatta per la città di Pescara e grazie al contributo economico del prete. Tentammo anche presso gli assistenti sociali, ma non ne venne nulla, anche i dormitori, pur appartenendo al comune, sono gestiti dalla Caritas.

Infine il prete ci spedì a Roma presso l’Istituto don Orione della Cammilluccia, convinto che il direttore don Guido ci avrebbe aiutato, visto che ospitava lui e pure altra gente. Comunque gli Istituti don Orione sono conosciuti per gli aiuti offerti alle famiglie. O comunque avrebbe potuto reinserirci nella Caritas.

Don Guido, al nostro arrivo alla sera, ci rimise subito in strada, a Roma. Visto che rimanevamo seduti ed inebetiti sui gradini dell’istituto, ci mandò via con un offerta dicendoci che Roma ingoia tutto, lanciandoci l’anatema: “tanto vi ritroverete tra due giorni a puzzare come barboni”. Don Guido non voleva assolutamente curarsi di noi: ci parlò sui gradini senza farci entrare. Disperati ci rifugiammo da alcune suore riuscendo a farci fare uno sconto, almeno per tenerci dei soldi per i giorni successivi.

Da Roma partimmo per Assisi, in treno, per tentare di risolvere una volta per tutte il problema, là dove si era originato. Venerdì 9 Maggio ’08, sera arriviamo ad Assisi, c’era la manifestazione del Calendimaggio e vi erano molte persone per la piazza: abbiamo passato la notte fuori nei vicoli di Assisi. Il giorno dopo ci siamo recati a Bastia Umbra a chiedere un aiuto dalle suore Benedettine. Non riusciamo a trovare un posto dove dormire e così passiamo una notte nelle campagne di Costano a cielo aperto. Finalmente domenica riuscimmo ad avere un pranzo decente, unendoci al pranzo di una manifestazione della Croce Rossa, e riuscimmo a racimolare altri soldi e arrivare a pernottare una stanza economica. Il giorno seguente lunedì, alla riapertura degli uffici, tentammo finalmente una mediazione con la Caritas.

Il tentativo di mediazione

L’obiettivo era di risolvere definitivamente questa questione fin dall’origine, ovvero perché la Caritas non se la sentiva di tenerci. La sera passammo per la casa di accoglienza di Santa Maria degli Angeli e parlammo con la responsabile Annarita, per trascorrere una notte al coperto e per un appuntamento con il direttore L. G.. Non c’e’ posto per noi, è tutto pieno. Parliamo della situazione ad A. C., alla quale mostriamo anche l’articolo di giornale sulla nostra vicenda uscito sul Corriere dell’Umbria. Sembra di non aver mai visto quell’articolo e non conoscere nulla della nostra apparizione in TV. E’ solamente curiosa nell’apprendere che non siamo mai tornati in Veneto dopo che ci aveva messo in strada ancora in Agosto 2006. E’ molto sorpresa che non fossimo mai ritornati là. Il direttore L. G. non è reperibile, ed A.C. ci lascia comunque 20 Euro, dicendo di provare all’ostello; ci lascia consente cortesemente chiamare il prete di Pescara con il telefono della Caritas.

Bussando a varie porte, riusciamo a trovare aiuto presso alcune suore a Santa Maria: ci ospitano alcuni giorni e fissano un appuntamento con una responsabile della Casa Papa Giovanni XXIII di Assisi, tal Monica. Il giorno dopo, 13 maggio ’08 veniamo a sapere, tramite interposta persona, che il dottor L.G., direttore della Caritas, aveva già compiuto il “suo dovere”: si era assicurato di trovarci un posto nella Caritas di Vicenza, aveva pure telefonato alla Questura di Vicenza, per constatare se sussisteva pericolo per noi andare là. Dunque ci aspettava per farci il biglietto del treno, perché la risposta della Questura era stata negativa, perciò, dovevamo andare a Vicenza e basta!

Il direttore della Caritas aveva già deciso riguardo la nostra vita, senza sentire ragioni e senza considerare la nostra volontà, nel 2006 come nel 2008. Il 13 Maggio 2008, a distanza di quasi due anni, da quando eravamo ospiti nella “sua” struttura, era rimasto delle sue idee, e si era adoperato, nel corso di questi due anni, perché la sua idea fosse attuata, come se la sua opinione fosse al di sopra tutto.

Poco importa che noi siamo residenti a Padova e che, semmai il direttore, per informazioni doveva chiamare la Questura di Padova e non Vicenza.

Poco importano i motivi che ci hanno spinto a sposarci senza pubblicazioni religiose, nel luogo non di residenza, senza le famiglie d’origine, come attuato dalla Curia di Padova.

Poco importa se ormai è da due anni che viviamo in Umbria e abbiamo più contatti e possibilità in questa terra che in Veneto e poco importa quanto scritto in alcune nostre denunce-querele presentati ai magistrati.

Tale decisione il direttore l’aveva presa per noi ancora nel 2006, e continuò a propagarla nelle altre Caritas, compiendo di fatto un abuso di potere con l’aggravante di aver trasmessi questa sua decisione a tutta la rete Caritas, avendo un ruolo importante, nel periodo considerato, di delegato della Caritas umbra, con mansioni di rappresentanza e competenza su tutti i vescovi Umbri; la sua influenza si era propagata pure a quei comuni, come Trevi (PG) che ci avevano dato la possibilità di aiutarci pur non essendo noi residenti. L’interlocutore telefonico disse che era normale: nel caso in cui si presentassimo in altre Caritas non ci avrebbero accettato, perché L. G. giustamente aveva dato queste disposizioni (di non aiutarci e rispedirci a Vicenza). Da qui partirono tutte le nostre traversie, già riassunte, ricordando una per tutte, a tal proposito, che un sacerdote esercitante in Umbria, di origine veneta come, noi, ci apostrofò al telefono, senza nemmeno conoscerci, ancora nel 2006: “Oh quelli che fanno le ferie in Umbria a spese della Caritas” e poi da lì tutti ci trattarono allo stesso modo, fino ad arrivare, ad essere pure stati ricoverati d’urgenza all’ospedale per una vita di stenti.

Ci rimaneva la strada dell’Associazione Giovanni XXIII, ma anche qui dopo che le suore ascoltarono la nostra storia insieme con Monica, una delle responsabili dell’Associazione della zona di Assisi, contattarono la Caritas e si allinearono al direttore L. G. e non vi fu strada nemmeno in quella direzione.
<>Ci mandarono verso Ancona, a cercar fortuna, dandoci alcuni numeri di telefono di un prete che si occupa dei casi antisetta. Partimmo senza soldi e non ci restò che uscire dall’Umbria nuovamente, cercando di evitare la Caritas che non ci aiuta, ma ci fa pure terreno bruciato nei posti dove andiamo, facendoci saltare in qualche modo, direttamente o indirettamente, tutti i nostri tentativi di rifarci una vita. All’associazione Giovanni XXIII scrivemmo un’email spiegando la delicatezza della situazione e contattammo del loro personale a Fabriano (AN), e tramite un loro numero verde del servizio antisetta, ma non ottenemmo nulla di concreto.

Si Chiede

n intervento urgente onde verificare quanto da noi segnalato e rimuovere gli ostacoli che ci impediscono di avere un aiuto e un sostegno, al fine di ritornare ad un lavoro e ad una vita dignitosa, senza dover subire il clima di schiavitù che inevitabilmente ci ha creato questa situazione.

Si chiede un intervento urgente ed immediato, indipendente da eventuali indagini, poiché per quanto esposto, siamo in immediato e grave pericolo, ovvero si chiede che venga attuata una soluzione adeguata al nostro problema, di aiuto e sostegno dignitoso, compatibile alla nostra volontà, capacità, e realtà di famiglia costituita da marito moglie.


Considerazioni "tecniche"
Oltre alla denuncia "pubblica", qui contenuta,  è stata presentata esposto/denuncia presso la la Procura di Firenze, in qualità di Procura controllante. Ciò nasce  come conseguenza della nostra richiesta d’intervento, avvenuta ancora il 27/12/06, presso la magistratura di Perugia per i fatti che ci stavano accadendo (Fax inviato dai CC di Città di Castello, di 1 pagina). La richiesta di intervento non ebbe nessun esito, non fu preso nessun provvedimento, poiché il magistrato rigettò completamente le nostre richieste, scrivendo che esulavano dalla sua competenza. La risposta del PM fu inoltrata il 17.4.07, ed a noi  notificata dalla Questura di Terni in data 23/05/07. I fatti  riguardano Assisi, Gubbio, Spoleto  e Città di Castello. Era pur vero che il  magistrato dottor T. C. poteva affermare di non essere competente per i problemi “sociali”, ma era pur vero che i fatti descritti rientravano nella sua competenza territoriale, ed  avevano avuto origine da reati di tipo penale come la diffamazione e l'abuso d'ufficio.  Riteniamo che il magistrato abbia omesso di valutare, nell’emettere tale rigetto, gli elementi negativi risultanti da tale comunicazione.  Il disinteresse non fece altro che peggiorare le cose. Nel 2007 e 2008 accaddero fatti ancora più gravi, qui descritti, coinvolgendo pure Terni e Pescara.
Ora davanti a tanto disinteresse della magistrura perugina possiamo solamente esporre questa forma di denuncia alla Procura di Firenze, chiedendo che valuti attentamente i possibili reati penali che sono alla base della situazione, come pure eventuali correlazioni con quanto già esposto precedentemente alla Procura di Firenze.

Sottolineamo che, da quanto constatato, la  Polizia Giudiziaria di Assisi (PG) era già a conoscenza di alcune nostre situazioni vissute in Umbria, per gli stretti rapporti collaborativi esistenti tra la Caritas e le forze dell'ordine. La Caritas, essendo parte in causa, avrà probabilmente dato informazioni sul nostro conto in modo pregiudizievole, o comunque "dal loro punto di vista". E' innegabile che il peso delle affermazioni della Caritas, forte del potere che rappresentano e della stessa  fama, abbiano un peso notevolissimo. Dunque per quanto detto si reputa che la Procura di Perugia e la Polizia Giudiziaria di Perugia e Assisi sia giudicata inidonea a gestire eventuali indagini, sia per non aver saputo leggere elementi di pericolo a nostro carico ancora due anni fa, sia per la mancanza d'imparzialità dovuta ai stretti legami di lavoro e a volte pure di amicizia.
E' ovvio, inoltre, che sarebbe opportuno per noi, non avere relazioni di dipendenza con la Caritas, sia per quanto già successo, sia per essere liberi di poter esprimere le nostre idee e testimonianze in proposito.




A) RIEPILOGO SUI MOTIVI DELL'ESPOSTO

In Abruzzo divenne evidente come incontravamo  sempre le stesse difficoltà in ogni parte: nella Caritas di Pescara ci dicono che hanno raccolto delle informazioni preoccupanti sul nostro conto e non se la sentono di aiutarci...  Cose del genere erano successe in tutta l'Umbria. Mentre eravamo appunto a  Pescara ricevemmo una lettera dal direttore della Caritas di Assisi, in risposta ad una richiesta di aiuto precedente fatta al Vescovo Monsignor Sorrentino. Lettera da noi consegnata il primo marzo 2008.

Questa lettera è fondamentale per capire la dinamica di come si evolveva la situazione negli ambienti Caritas. Purtroppo tali ambienti erano pressoché gli unici che gestivano gli aiuti in qualsivoglia parte d'Italia: a volte direttamente, a volte incaricati dai Comuni italiani come appunto a Pescara, Terni...

Ecco la lettera del direttore di risposta del 18 aprile 2008:
La decisione del direttore della Caritas di avviarci ai servizi sociali del nostro comune di residenza, così come evidenziato nella lettera precedente,  era incomprensibile! Difatti  la legge sui servizi sociali umbri prevedeva l'aiuto anche a persone non residenti come mostrato di seguito dalla legge Umbra del periodo:


Art. 2
Destinatari delle prestazioni sociali.
1. Sono destinatarie delle prestazioni sociali di cui alla presente legge tutte le persone residenti o domiciliate o aventi stabile dimora nel territorio regionale e le loro famiglie.
Le prestazioni sociali si estendono, altresì, alle persone occasionalmente o temporaneamente presenti in Umbria allorché si trovino in condizioni di difficoltà tali da non consentire l’intervento da parte dei servizi della Regione o dello Stato di appartenenza, salvo rivalsa in base alla normativa vigente.


IN REALTA'...
Tutti i centri Caritas si erano allineati con la decisione espressa dal direttore di Assisi, cioè di non accoglierci e di rimandarci nel Comune di Residenza, come evidenziato nella lettera sopra riportata. Se qualcuno inizialmente ci aveva aiutato, succedeva che dopo aver raccolto informazioni dalla loro rete informativa, arrivavano alla conclusione di smettere di aiutarci, oppure di non aiutarci in maniera da poter ritornare a vivere: ad esempio a molte altre persone erano state offerte delle possibilità più ampie che il soggiornare semplicemente in un dormitorio. Il dormitorio era in genere la soluzione delle "non soluzioni", per i girovaghi, per i matti, per i zingari... Per chi non si riusciva a reintrodurre nel tessuto sociale insomma.

Ma ad un certo punto anche il dormitorio era chiedere troppo. Il direttore aveva disposto che fossimo rimandati in Veneto.


Era dunque inutile per noi tentare di trovare una soluzione negli ambienti Caritas! Purtroppo in Italia lo Stato Italiano demandava quasi tutto alla  Caritas passando a questa dei soldi. Per noi significava non avere più possibilità.

Andammo dunque alla Polizia di Assisi per cercare di fermare il fenomeno da dove si era originato. Ma ad Assisi il direttore era venerato come un Dio e sembrava contare più della Polizia di Stato!  Non accettarono il nostro esposto e non vi fu modo di intavolare un dibattito! Così ce ne andammo. Non vi fu altro da fare che fare un esposto presso una sede meno influenzabile:  l'esposto lo facemmo alla Procura della Repubblica di Firenze, visto che era la Procura che aveva ricevuto tutti i nostri incartamenti precedenti e magari era più preparata della piccola Assisi.

Alcuni mesi dopo di questo esposto il direttore della Caritas cambiò incarico.  Ma la cosa non si risolse per noi. Le cose ormai si erano propagate peggio di un virus e questo fenomeno non si è più riusciti a fermarlo.

Anni dopo, questo volerci rimandare a tutti i costi in Veneto cominciammo a chiamarlo "il senso unico". Successe in ogni dove, in ogni posto dell'Italia e fu per questo che la Caritas divenne per noi un posto dove non era più possibile chiedere aiuto e dalla quale era meglio stare il più lontano possibile.

Quando Giovanna tornò a Città di Castello nel 2017 per cercare ancora una volta delle soluzioni, il veleno che si era sparso da quelle parti nel 2006 era ancora vivo seppur erano passati più di 10 anni.  Vi era ancora in servizio una responsabile di allora e non era possibile fare un discorso posato. Questo significava solamente che ci era stato buttato addosso tanto di quel fango che la situazione era ancora sporca, e nessuno si era premurato di pulire. Le forze dell'ordine non avevano mai fatto nulla per sistemare queste cose e noi rimanemmo veramente delusi della situazione.



NOI FUMMO ADDITATI SPESSO COME: "QUELLI CHE FANNO GUERRA ALLA CARITAS".
In realtà noi volevamo solo evidenziare come alcune persone avevano infangato il nome della Caritas comportandosi in quella maniera.
Per noi era finita. In Italia lo Stato demandava l'aiuto ai poveri alla  Caritas. La Caritas non ci aiutava. La Caritas essendo organismo privato non aveva l'obbligo di aiutarci. Lo Stato se ne lavava le mani.



Esposto presentato in Procura di Firenze versione  pubblica.





B) Ancora sui motivi di una denuncia pubblica

Già il 27/12/06 avevamo chiesto l'intervento di un magistrato per i fatti che ci stavano accadendo. La richiesta di intervento, formulata attraverso il fax riportato nell'immagine , era un'integrazione della nostra denuncia del 19.12.06 depositata presso la Procura di Perugia dai Carabinieri, nella quale già si faceva cenno a tali problemi. Il fax è stato inoltrato alla procura di Perugia dai carabinieri di Città di Castello (PG).


Immagine A- Ns richiesta inviata al magistrato di Perugia in data 27/12/2006


La richiesta non ebbe nessun esito e non fu preso nessun provvedimento; il magistrato rigettò completamente le nostre richieste dicendo che esulavano dalla sua competenza (vedere notifica riportata nell'immagine B, ove il magistrato rigetta "le richieste di aiuto ed interessamento per risolvere i nostri problemi di sussistenza".).
I fatti  riguardavano Assisi, Gubbio, Spoleto  e Città di Castello. Era pur vero che il magistrato poteva dire di non essere competente per i problemi sociali, ma era pur vero che rientravano nella sua competenza perché  tali problemi avevano origine da reati di tipo penale, compiuti all'interno della provincia di Perugia. Questo non fu minimamente considerato. Il disinteresse del magistrato di Perugia, non fece altro che peggiorare le cose, nel corso del 2007 e 2008, coinvolgendo pure Terni e Pescara.





Immagine B, Notifica fatta dalla Questura di terni, in data 23.05.07.
Il magistrato rigetta le nostre richieste del 27.12.06, come evidenziato nella parte conclusiva del documento