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.73 Carabinieri di Notte


Giugno 2010

 


La notte verso le 2.30 il comandante della stazione di Fenili*, ignaro della nostra situazione, ignaro di quanto spedito ai carabinieri di Città di Castello, ed ignaro di quanto successo il 6 febbraio nel suo territorio quando ci fermò una pattuglia della radiomobile di Sammartino* rispondendo al 112...
Ci manda due carabinieri di notte, ancora una volta che fossimo dei criminali.
Per fortuna che gli uomini che ci avevano mandato erano persone ragionevoli...
Comunque poi Giovanna andò e portò una lettera dal comandante. Io non ci andai perché probabilmente avrei risposto in malo modo e mi avrebbero messo dentro. Quel giorno che andò Giovanna si sentirono le grida per tutta la caserma.
Noi avevamo capito che il comandante era stato sicuramente manipolato in maniera mentale  da chi l'aveva attivato. Del resto chi lo aveva attivto era una personalità del paese e invece noi eravamo due poveri.
Il guaio è che questi comandanti che rimangono fissi per più di 20 anni sempre nella stessa caserma dovrebbero essere mandati via prima, perché mettono troppe radici nel territorio fino a modificare l'ecosistema stesso.
Difatti come fu per il comandante al Lago di Iseo, anche questo mostrava segni di incapacità a capire e vedere le cose con obiettività perché traviato dalle amicizie di lunga data e dalle relazione con le persone del paese.
Dunque un carabiniere che manca di obiettività e spirito critico non è in grado di seguire la legge e applicarla nella maniera adeguata e diventa spesso strumento di altre persone.

Avendo sentore che il comandante era una persona di questo tipo, fu scritta una lettera che pensavamo che magari con calma l'avrebbe letta. Sappiamo che lui non contattò i carabinieri di Città di Castello come avevam suggerito ai suoi uomini quando vennero di notte.
Perché questi carabinieri hanno la presunzione di sapere tutto.


Mi dispiace che L'Arma dei carabinieri non si renda conto di questi problemi e che lasci dei suoi uomini fermi nel territorio per così tanti anni.

Comunque Giovanna lo lasciò sfogare e poi chiese di leggere la lettera. Il carabiniere dopo che si ebbe sfogato disse comunque che il Parroco era amico d'infanzia del Sindaco che aveva uno studio di avvocato. E che ci avrebbero fatto lo sfratto. Sapevamo che ci avrebbero mandati via. Ma non come poi è successo il 3 agosto.
I carabinieri comunque dopo della consegna della lettera ci lasciarono in pace.




Testo della lettera consegnata il 3/06/10 al Comandante della stazione carabinieri di Fenili*.
[La lettera originale era stata scritta a mano con data 1 giugno –10 pagine.]


 

01/06/2010

Oggetto: alcuni aspetti della situazione vissuta a Fenili*

Fatto del 1 giugno 2010
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Il 1 giugno 2010 verso le ore  2:30 della notte, si è presentata una pattuglia dei carabinieri di Fenili*, composta da due carabinieri, i quali si sono messi a picchiare violentemente sulla porta e sulle tapparelle. All’inizio non capendo si trattasse di carabinieri non abbiamo risposto, ma essi hanno continuato con maggiore insistenza, con nostra grande paura, e probabilmente svegliando parte del vicinato. Noi subito pensavamo fossero i soliti Albanesi vicini di casa, che non sono nuovi a fare queste scenate, e abbiamo aperto solo dopo aver visto la macchina di servizio dallo spioncino della porta. I CC erano pure convinti che all’interno ci fossero altre persone oltre a noi. Dopo il baccano iniziale le cose si sono calmate e ci hanno detto che noi dobbiamo liberare la stanza, perché il parroco —che ci aveva dato la stanza— non ha i nostri dati: sono dunque venuti con l’obiettivo di identificarci. 

Noi siamo stati costretti a mostrare i passaporti perché sennò incorrevamo in un reato. Abbiamo detto alla pattuglia di chiedere informazioni al M.llo Viscito di Città di Castello o ai carabinieri di Sammartino*, che avevano già fatto un controllo il 6 febbraio 2010.

Abbiamo fatto vedere ai CC di Fenili* pure il fax spedito ai CC di Città di Castello il 5/12/09. Tutto questo per fare capire loro che non eravamo perfetti sconosciuti. Poi i carabinieri ci hanno invitato a presentarci in caserma la mattina dello stesso giorno per parlare con il loro comandante, Nic*** T********, a proposito della nostra posizione.

 

Riteniamo che l’azione di intervento dei CC di Fenili* sia stata un po’ troppo pesante nei nostri confronti, e crediamo che il modo di agire sia viziato da grossi malintesi a nostro danno. Riteniamo dunque opportuno mettere per iscritto alcuni tratti della vicenda occorsa, spiegandone l’evoluzione da quando siamo arrivati qui. Nel caso in cui i carabinieri o il prete ci rimettessero in strada, come palesemente annunciato, non saremmo in grado di trovare altre soluzioni abitative, ed è difficile che enti come la Caritas ci aiutino per quanto già dichiarato negli ultimi documenti inviati ai Carabinieri di Città di Castello, e precedentemente, attraverso il lungo verbale di dicembre 2006.

 

Quanto comunicatoci dai carabinieri di Fenili* “di lasciare la stanza” andava in contrasto con il suggerimento dei carabinieri di Sammartino* (e del Maresciallo Viscito), i quali erano già intervenuti la notte tra il 5 e il 6 febbraio 2010. La pattuglia era intervenuta perché chiamata da qualcuno e ci aveva identificato e controllato i dati. In tale occasione i carabinieri di R001* su nostra precisa indicazione si misero in contatto subito con i CC di Città di Castello, che stavano gestendo il nostro caso. Ebbene, dopo aver comunicato con tale Comando, ci avevano consigliato di restare nella stanza.

 

Per capire la vicenda occorre partire dalle origini.

Introduzione

Premettiamo che il nostro caso era stato gestito dai Carabinieri di Città di Castello (PG) e pochi mesi dopo le cose si erano risolte almeno in parte, ma uno di noi nove mesi dopo si ammalò e l’altro perdette il lavoro. Dal 2009 ritornarono anni difficili ed in agosto 2009 sbarcammo a M000* senza lavoro e soldi.

Dopo una settimana vissuta nei locali adiacenti alla chiesa, il parroco ci diede una piccola stanza, usata fino ad allora saltuariamente come magazzino di cassette vuote, situata all’interno di un condominio. All’epoca  non ci chiese nessun documento, sapeva i nostri nomi e che eravamo di Padova e altre informazioni che avevamo scambiato amichevolmente a cena.

La stanza, pur misera perché non fornita del benché minimo mobile eccetto tre sedie, divenne la nostra speranza di un ritorno ad una condizione normale. Una signora della parrocchia , che in questo scritto chiameremo Monica (non è il suo vero nome, ma qui non intendiamo fare una denuncia ma semplicemente spiegare la situazione generale), ci diede due materassi, e quella divenne la nostra casa. Avevamo chiesto a Monica ed al sacerdote l’aiuto per ottenere un cellulare, il nostro si era rotto all’inizio di agosto, per il resto i patti erano che dovevamo arrangiarci. Sebbene non avessimo il benché minimo soldo, riuscimmo a tirare avanti cercando tra i numerosi alberghi e ristoranti della zona del cibo. Speravamo di uscire presto da quella situazione —che  non garantiva tutti i giorni il mangiare e nemmeno le cose essenziali di cui uno aveva bisogno— ma non fu così, perché il telefono non arrivò mai, e con esso nemmeno i piccoli lavoretti che potevano darci una mano per passare con il tempo a qualcosa di meglio.

Gossip

In aggiunta al problema della fame e del telefono ne arrivò velocemente un altro. Alcuni parrocchiani, che desideravano utilizzare la nostra stanzetta per i loro scopi, convinti che fossimo dei delinquenti, si misero in combutta con i condomini per farci andare via. Così fin da subito, invece di ottenere la tanto sperata misericordia ricevemmo ostilità e isolamento. Nel villaggio tali persone crearono, attraverso delle chiacchiere sul nostro conto, un clima insostenibile: la cosa non era difficile, per i pregiudizi dei piccoli paesi come Fenili*. Per esempio Monica, già al secondo incontro, una settimana dopo il nostro arrivo nella stanzetta, ci espresse la convinzione del marito, —convinzione condivisa da molti paesani— secondo la quale le persone aiutate dal prete erano in genere poco raccomandabili o criminali.

Noi capimmo fin da subito che i pensieri di Monica non erano tanto lontani da quelli di suo marito. Vedemmo Monica anche le settimane successive: in settembre ci venne a trovare pure il prete e ci disse che potevamo rimanere senza problemi.  Monica però era insistente nel voler ottenere informazioni su di noi, in vari modi, e noi avendo prima di tutto la necessità di privacy, cominciammo ad evitarla: al sabato, quando veniva nella stanza accanto alla nostra a svolgere un’attività commerciale di vendita di verdure, partivamo presto in modo da non incontrarla. La cosa, unita al fatto che giravamo sempre per il paese con i nostri zaini —la stanza è accessibile a vari parrocchiani — fece aumentare i sospetti sulle nostre persone e cominciarono a girare le chiacchiere più svariate. Alcuni parrocchiani fecero pressioni sul prete perché ci cacciasse.

Prevenendo il peggio

Già in settembre, prevedendo problemi con il prete causati dai pettegolezzi, descrivemmo la situazione ai carabinieri di Città di Castello, che in passato ci avevano aiutato e che già conoscevano la nostra storia. Il 28 di novembre Monica si presentò furiosa al mattino verso le 7:00, davanti il cancello. Volevamo evitarla a tutti i costi e tentammo di darcela a gambe levate, ma quella volta dovemmo necessariamente affrontarla, perché minacciò di chiamare i carabinieri. Le rispondemmo che i carabinieri li avevamo già avvertiti noi e non vi era motivo di sollevare ulteriori questioni. Ma ella furiosa ci disse:- “Adesso ho capito che  razza di persone siete”, apostrofandoci come criminali ed aggiunse:- “Chissà quali persone fate entrare nella stanza!”. Dalle sue parole sembrava che utilizzassimo la stanza per chissà quali traffici, e che ospitassimo altra gente (anche i carabinieri intervenuti il 1 giugno erano convinti che ci fossero altre persone, ma videro con i loro occhi che c’eravamo solo noi due). Al sopraggiungere del prete la comunicazione passò su toni più normali, ed allontanata Monica, rimanemmo a parlare solo con lui.

Inizialmente il prete voleva che lasciassimo la stanza, nel giro di due o tre giorni, ma poi spiegando meglio la situazione ed i motivi per cui evitavamo Monica, indicandola come una persona curiosa e troppo propensa al pettegolezzo, le cose mutarono di aspetto. Il prete allora ci raccontò che i condomini si erano lamentati che non erano state prese informazioni su di noi, e che dunque non sapendo che razza di persone fossimo, per tutela di tutti, doveva mandarci via. Per rimanere ancora il prete voleva dunque tutti i nostri dati completi. L’incontro era avvenuto di sabato e dunque si rimandava tutto alla settimana successiva.



 

Il fax del 5 dicembre

La settimana successiva non vedemmo il prete, noi non ci recammo da lui e lui non si recò da noi, ma il sabato successivo eravamo preoccupati che la situazione volgesse al peggio, così decidemmo di scrivere un fax ai CC di Città di Castello raccontando gli ultimi fatti. Ecco grosso modo un passaggio del fax:

«premesso che da alcuni mesi riceviamo l’aiuto del parroco di Fenili*  (**)… il sacerdote il 29/11/09, improvvisamente ci ha comunicato che dobbiamo lasciare la stanza, su pressione di alcuni parrocchiani, poiché su di noi non sono state raccolte informazioni. Su questi presupposti il prete ci ha chiesto i dati completi. Ci siamo riservati di prendere tempo in quanto è plausibile che il parroco, non appena in possesso delle informazioni, farà ricerche, e questo riporterà i noti problemi anche in questo luogo, rendendoci la vita impossibile. Riteniamo non vi sia motivo che il sacerdote entri nella nostra vicenda; per quanto riguarda gli obblighi di legge relativi alle dichiarazioni delle generalità delle persone, chiediamo come possiamo risolvere la questione, senza far transitare i dati per la parrocchia…»

Noi spedimmo il fax non solo per informare i carabinieri ma anche per avere nelle nostre mani una ricevuta che confermasse le nostre parole, da mostrare all’occorrenza.

Alcune lumi sui pensieri di Monica

Come abbiamo scritto sopra, Monica e i vicini volevano espellerci dal condominio. Alcuni lumi su tale comportamento si accesero il 17 dicembre ‘09, quando per caso di giovedì mentre rientravamo, sentimmo attraverso il muro alcuni discorsi tra i parrocchiani, riuniti nella stanza accanto. Una signora chiedeva a Monica se vi fossero belle notizie, ossia se era riuscita a farci andare via: Monica con rammarico rispose di no, confidando però di farci recapitare a proposito “una letterina ben fatta”, con la quale ci saremo tolti dai piedi. Sentimmo che volevano fare una Onlus e probabilmente serviva la nostra stanza, e quello era il motivo di tanta solerzia nel farci sloggiare, e non il fatto che fossimo persone sospette! 

Quella sera eravamo entrati poco prima della mezzanotte, e gli ospiti della riunione nella stanza accanto andarono via subito dopo, senza che nessuno si accorgesse di noi. Sabato due delle famiglie di condomini che si erano lamentate con il prete, si diedero a gara per consegnarci tale lettera sopra citata: cosa veramente inopportuna perché una copia della lettera era già stata posta all’interno della nostra stanza. E cosa ancora più triste è che nell’opera si cimentarono famiglie albanesi.

Eravamo sicuri che la decisione di mandarci via non era dettata solo e direttamente dal prete, perché tali lettere, come altre volte, arrivavano sempre e solo di sabato, cioè in occasione della vendita di verdure fatta da Monica e dunque per noi erano azioni sue. Se il prete voleva parlarci o vederci poteva farlo in altri momenti.

Le relazioni divennero ancora più fredde con Monica ed ai vicini chiedemmo di restare fuori dalla questione. Nonostante le lettere non fummo sbattuti fuori e pensammo che forse i CC di Città di Castello avessero contattato il prete, facendogli capire che non eravamo persone così pericolose. Inoltre incontrammo il prete per strada varie volte, e pur riconoscendoci dall’interno della sua Panda, non si fermò una volta per parlarci, segno per noi che le cose si erano sistemate.

 

La pattuglia dei carabinieri del 6 febbraio

Ci sono degli uomini che vengono a giocare nella stanza accanto. Si radunano in tre o quattro e giocano una volta ogni una o due settimane circa, un gioco di guerra che dura quattro o cinque ore. Quando giocano noi usciamo per non ascoltare i loro discorsi —il muro che divide le due stanze è fatto di un pannello di panforte sottile— e sappiamo, dalle parole di uno di loro, che il gioco lo fanno anche i militari alti in carriera. Molte volte iniziano il gioco verso le nove di sera, e noi in quel momento non ci siamo quasi mai; quando torniamo se vediamo la luce accesa aspettiamo per entrare fino a quando vanno via. Ecco cosa è capitato una di quelle sere:

«E’ da poco passata la mezzanotte, dalla strada notiamo che vi è la luce accesa nella stanza accanto alla nostra. A quest’ora possono essere solo i giocatori: mentre camminiamo qualcuno di loro sta guardando fuori e forse ci hanno visto in lontananza. Noi proseguiamo diritti fino al sottopassaggio del treno. Aspettiamo un po’ dall’altra parte e ritorniamo a controllare se se ne sono andati. Controlliamo spesso, camminiamo anche per scaldarci. Mentre siamo nel sottopassaggio arriva una pattuglia dei carabinieri di Sammartino* e ci blocca proprio come si fa con i criminali. Noi siamo agitati, i carabinieri non ci conoscono e vogliono sapere chi siamo, ci hanno detto che sono stati chiamati a intervenire. Intervenire per cosa? Non siamo ubriachi e nemmeno facciamo fracasso. Diamo i documenti. Spieghiamo un po’ la nostra situazione e li invitiamo a mettersi in contatto con il comando di Città di Castello. Mentre uno di loro si mette in contatto, l’altro ci fa delle domande precise: capiamo che in qualche maniera hanno delle informazioni su di noi, sanno che siamo delle persone ospitate dal prete. Parlando dei motivi per cui abbiamo sempre i zaini spieghiamo che è per il fatto che i parrocchiani hanno le chiavi della nostra stanza, e non possiamo lasciare documenti incustoditi. Il carabiniere ci fa ripetere la frase davanti al suo collega, per fargli sentire la questione delle chiavi. Appena posto il contatto con Città di Castello, vengono informati dal collega che ci porta i suoi saluti e ci invita a telefonargli se ci sono problemi. »

Quella sera i giocatori rimangono fino a circa le due di notte e noi entriamo più tardi. Forse sono stati loro a chiamare la pattuglia, convinti che vogliamo nasconderci perché criminali. Dopo l’intervento dei carabinieri non ci arrivano più le letterine e speriamo che la cosa si sia risolta: ipotizziamo che i carabinieri abbiano contattato il prete spiegando la nostra situazione, oppure che abbiano tranquillizzato, seppur ufficiosamente, chi ci riteneva così pericolosi.

Il prete l’abbiamo incontrato altre volte in giro per Fenili*, ma non si è mai fermato per parlarci e per noi era segno che era tutto a posto.

Le letterine di maggio

Il 22 maggio 2010 ritornano a presentarci le “letterine” nella nostra stanza, sempre di sabato.

Il sabato successivo 29 maggio ce ne mettono un’altra.

Il 31 maggio ci troviamo il prete che guida a passo d’uomo a fianco a noi: ci fermiamo, sembra che ci abbia visto e quindi ci aspettiamo che si fermi per parlarci, invece questi gira l’auto e prosegue, come altre volte.

Pensiamo che le lettere siano i soliti personali tentativi di alcuni parrocchiani per mandarci via.

 

Conclusione

Il primo di giugno accadde quello che abbiamo narrato all’inizio del documento. Questa volta intervennero i CC di Fenili* sostenendo che siamo persone sconosciute e che dobbiamo andare via, perché il prete non ci vuole più tra i piedi. Ma noi non siamo persone sconosciute: avevamo già avvertito i carabinieri di Città di Castello della situazione e dove ci trovavamo, ed i carabinieri di Sammartino*, ai quali i carabinieri di Fenili* fanno capo, avevano già provveduto a prendere i nostri dati e informazioni in proposito, e ci avevano invitato a rimanere nella stanza della parrocchia. E’ scioccante essere trattati ogni volta da delinquenti o essere spaventati in piena notte per delle questioni che intendevamo risolte.

 

Siamo dunque convinti che i rapporti con il parroco siano sanabili dai malintesi accorsi a causa di ingiurie e diffamazioni che sono state poste in giro per il territorio di Fenili*. Crediamo che i carabinieri possano spiegare appieno al Parroco il nostro comportamento, per risolvere tali problemi. Se il parroco ci rimetterà in strada non avremo probabilmente possibilità di ottenere aiuto da altre parti. Per ora stiamo occupando uno sgabuzzino che non è utilizzato dalla parrocchia; per quanto successo se ci fosse possibilità saremmo i primi a liberare lo spazio.

 

Per tutto il resto chiediamo di riferirsi ai Carabinieri di Città di Castello che hanno una visione aggiornata e storica dell’intera nostra vicenda. Abbiamo deciso di mettere per iscritto quanto vissuto a Fenili* per due motivi: primo, per fare chiarezza, perché il danno di tutte queste chiacchiere e di tanto odio ci sta distruggendo la possibilità di tornare a una vita decente. Secondo, questo documento all’occorrenza può essere inviato come integrazione ai magistrati.

Grazie

Matteo e Giovanna



Alcune foto della stanza dove abitavamo :
Avevamo una stanza di pianta triangolare e  un bagno costituito da un lavandino, un cesso e un lavaculo: mancava la doccia. Non vi erano mobili ad eccezione di uno scaffale in metallo (si vede sulla sx).

La stanza era veramente piccola e disadorna. Era stata ricavata da un ambiente più grande e divisa da questa da un foglio di panforte.

Sebbene vi erano i termosifoni e le conduttore, non avevamo accesso all'acqua calda.

Qui vivemmo per circa un anno, da Agosto 2009 ad Agosto 2010. Qui dentro scrivemmo "Screening" e "The BlackCat".

 Non vi era nemmeno un fornello. Non avevamo nemmeno il telefono cellulare. Eravamo riusciti a vivere grazie ai ristoranti e gastronomie dei comuni limitrofi che ci davano in tarda serata e notte il cibo che era rimasto invenduto o le brioches che a fine giornata venivano gettate dai bar.

Fu una vita difficile, estrema, dove quando si mangiava, si mangiava quasi sempre freddo. Mi ricordo che d'inverno, quando ci lavavamo, usciva come del fumo dalla pelle: era l'acqua fredda che faceva quell'effetto sulla pelle calda.
All'epoca non frequentavamo luoghi pubblici come biblioteche.

Quando uscivamo, uscivamo sempre con gli zaini con dentro il notebook e i documenti personali e le "carte" degli esposti: questo perchè altri avevano accesso alla stanza e non potevamo lasciare informazioni importanti nella camera.






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