01/06/2010
Oggetto:
alcuni aspetti della situazione vissuta a Fenili*
Fatto
del 1 giugno 2010:
Il
1 giugno 2010 verso le ore 2:30 della
notte, si è presentata una pattuglia dei carabinieri di Fenili*,
composta da due
carabinieri, i quali si sono messi a picchiare violentemente sulla
porta e
sulle tapparelle. All’inizio non capendo si trattasse di
carabinieri
non
abbiamo risposto, ma essi hanno continuato con maggiore
insistenza, con
nostra
grande paura, e probabilmente svegliando parte del vicinato. Noi
subito
pensavamo fossero i soliti Albanesi vicini di casa, che non sono
nuovi
a fare
queste scenate, e abbiamo aperto solo dopo aver visto la macchina
di
servizio
dallo spioncino della porta. I CC erano pure convinti che
all’interno
ci
fossero altre persone oltre a noi. Dopo il baccano iniziale le
cose si
sono calmate
e ci hanno detto che noi dobbiamo liberare la stanza, perché il
parroco
—che ci
aveva dato la stanza— non ha i nostri dati: sono dunque venuti con
l’obiettivo
di identificarci.
Noi
siamo stati costretti a mostrare i passaporti perché sennò
incorrevamo
in un
reato. Abbiamo detto alla pattuglia di chiedere informazioni al
M.llo
Viscito
di Città di Castello o ai carabinieri di Sammartino*, che avevano
già
fatto un
controllo il 6 febbraio 2010.
Abbiamo
fatto vedere ai CC di Fenili* pure il fax spedito ai CC di Città
di
Castello il
5/12/09. Tutto questo per fare capire loro che non eravamo
perfetti
sconosciuti. Poi i carabinieri ci hanno invitato a presentarci in
caserma la
mattina dello stesso giorno per parlare con il loro comandante,
Nic***
T********,
a proposito della nostra posizione.
Riteniamo
che l’azione di intervento dei CC di Fenili* sia stata un po’ troppo
pesante nei
nostri confronti, e crediamo che il modo di agire sia viziato da grossi
malintesi a nostro danno. Riteniamo dunque opportuno mettere per
iscritto
alcuni tratti della vicenda occorsa, spiegandone l’evoluzione da quando
siamo
arrivati qui. Nel caso in cui i carabinieri o il prete ci rimettessero
in
strada, come palesemente annunciato, non saremmo in grado di trovare
altre
soluzioni abitative, ed è difficile che enti come la Caritas ci aiutino
per
quanto già dichiarato negli ultimi documenti inviati ai Carabinieri di
Città di
Castello, e precedentemente, attraverso il lungo verbale di dicembre
2006.
Quanto
comunicatoci dai carabinieri di Fenili* “di lasciare la stanza” andava
in
contrasto con il suggerimento dei carabinieri di Sammartino* (e del
Maresciallo
Viscito), i quali erano già intervenuti la notte tra il 5 e il 6
febbraio 2010.
La pattuglia era intervenuta perché chiamata da qualcuno e ci aveva
identificato e controllato i dati. In tale occasione i carabinieri di
R001* su
nostra precisa indicazione si misero in contatto subito con i CC di
Città di
Castello, che stavano gestendo il nostro caso. Ebbene, dopo aver
comunicato con
tale Comando, ci avevano consigliato di restare nella stanza.
Per
capire la vicenda occorre partire dalle origini.
Introduzione
Premettiamo
che il nostro caso era stato gestito dai Carabinieri di Città di
Castello (PG)
e pochi mesi dopo le cose si erano risolte almeno in parte, ma uno di
noi nove
mesi dopo si ammalò e l’altro perdette il lavoro. Dal 2009 ritornarono
anni
difficili ed in agosto 2009 sbarcammo a M000* senza lavoro e soldi.
Dopo
una settimana vissuta nei locali adiacenti alla chiesa, il parroco ci
diede una
piccola stanza, usata fino ad allora saltuariamente come magazzino di
cassette
vuote, situata all’interno di un condominio. All’epoca
non ci chiese nessun documento, sapeva i
nostri nomi e che eravamo di Padova e altre informazioni che avevamo
scambiato
amichevolmente a cena.
La
stanza, pur misera perché non fornita del benché minimo mobile eccetto
tre
sedie, divenne la nostra speranza di un ritorno ad una condizione
normale. Una
signora della parrocchia , che in questo scritto chiameremo Monica (non
è il
suo vero nome, ma qui non intendiamo fare una denuncia ma semplicemente
spiegare la situazione generale), ci diede due materassi, e quella
divenne la
nostra casa. Avevamo chiesto a Monica ed al sacerdote l’aiuto per
ottenere un
cellulare, il nostro si era rotto all’inizio di agosto, per il resto i
patti
erano che dovevamo arrangiarci. Sebbene non avessimo il benché minimo
soldo,
riuscimmo a tirare avanti cercando tra i numerosi alberghi e ristoranti
della
zona del cibo. Speravamo di uscire presto da quella situazione —che non garantiva tutti i giorni il mangiare e
nemmeno le cose essenziali di cui uno aveva bisogno— ma non fu così,
perché il
telefono non arrivò mai, e con esso nemmeno i piccoli lavoretti che
potevano
darci una mano per passare con il tempo a qualcosa di meglio.
Gossip
In
aggiunta al problema della fame e del telefono ne arrivò velocemente un
altro.
Alcuni parrocchiani, che desideravano utilizzare la nostra stanzetta
per i loro
scopi, convinti che fossimo dei delinquenti, si misero in combutta con
i
condomini per farci andare via. Così fin da subito, invece di ottenere
la tanto
sperata misericordia ricevemmo ostilità e isolamento. Nel villaggio
tali
persone crearono, attraverso delle chiacchiere sul nostro conto, un
clima insostenibile:
la cosa non era difficile, per i pregiudizi dei piccoli paesi come
Fenili*. Per
esempio Monica, già al secondo incontro, una settimana dopo il nostro
arrivo
nella stanzetta, ci espresse la convinzione del marito, —convinzione
condivisa
da molti paesani— secondo la quale le persone aiutate dal prete erano
in genere
poco raccomandabili o criminali.
Noi
capimmo fin da subito che i pensieri di Monica non erano tanto lontani
da
quelli di suo marito. Vedemmo Monica anche le settimane successive: in
settembre
ci venne a trovare pure il prete e ci disse che potevamo rimanere senza
problemi. Monica però era insistente nel
voler ottenere informazioni su di noi, in vari modi, e noi avendo prima
di
tutto la necessità di privacy, cominciammo ad evitarla: al sabato,
quando
veniva nella stanza accanto alla nostra a svolgere un’attività
commerciale di
vendita di verdure, partivamo presto in modo da non incontrarla. La
cosa, unita
al fatto che giravamo sempre per il paese con i nostri zaini —la stanza
è
accessibile a vari parrocchiani — fece aumentare i sospetti sulle
nostre
persone e cominciarono a girare le chiacchiere più svariate. Alcuni
parrocchiani fecero pressioni sul prete perché ci cacciasse.
Prevenendo
il peggio
Già
in settembre, prevedendo problemi con il prete causati dai
pettegolezzi,
descrivemmo la situazione ai carabinieri di Città di Castello, che in
passato
ci avevano aiutato e che già conoscevano la nostra storia. Il 28 di
novembre
Monica si presentò furiosa al mattino verso le 7:00, davanti il
cancello.
Volevamo evitarla a tutti i costi e tentammo di darcela a gambe levate,
ma
quella volta dovemmo necessariamente affrontarla, perché minacciò di
chiamare i
carabinieri. Le rispondemmo che i carabinieri li avevamo già avvertiti
noi e
non vi era motivo di sollevare ulteriori questioni. Ma ella furiosa ci
disse:-
“Adesso ho capito che razza di persone
siete”, apostrofandoci come criminali ed aggiunse:- “Chissà quali
persone fate
entrare nella stanza!”. Dalle sue parole sembrava che utilizzassimo la
stanza
per chissà quali traffici, e che ospitassimo altra gente (anche i
carabinieri
intervenuti il 1 giugno erano convinti che ci fossero altre persone, ma
videro
con i loro occhi che c’eravamo solo noi due). Al sopraggiungere del
prete la
comunicazione passò su toni più normali, ed allontanata Monica,
rimanemmo a
parlare solo con lui.
Inizialmente
il prete voleva che lasciassimo la stanza, nel giro di due o tre
giorni, ma poi
spiegando meglio la situazione ed i motivi per cui evitavamo Monica,
indicandola come una persona curiosa e troppo propensa al pettegolezzo,
le cose
mutarono di aspetto. Il prete allora ci raccontò che i condomini si
erano
lamentati che non erano state prese informazioni su di noi, e che
dunque non
sapendo che razza di persone fossimo, per tutela di tutti, doveva
mandarci via.
Per rimanere ancora il prete voleva dunque tutti i nostri dati
completi.
L’incontro era avvenuto di sabato e dunque si rimandava tutto alla
settimana
successiva.
Il
fax del 5 dicembre
La
settimana successiva non vedemmo il prete, noi non ci recammo da lui e
lui non
si recò da noi, ma il sabato successivo eravamo preoccupati che la
situazione
volgesse al peggio, così decidemmo di scrivere un fax ai CC di Città di
Castello raccontando gli ultimi fatti. Ecco grosso modo un passaggio
del fax:
«premesso
che da alcuni mesi riceviamo l’aiuto del parroco di Fenili* (**)… il sacerdote il 29/11/09,
improvvisamente ci ha comunicato che dobbiamo lasciare la stanza, su
pressione
di alcuni parrocchiani, poiché su di noi non sono state raccolte
informazioni.
Su questi presupposti il prete ci ha chiesto i dati completi. Ci siamo
riservati di prendere tempo in quanto è plausibile che il parroco, non
appena
in possesso delle informazioni, farà ricerche, e questo riporterà i
noti
problemi anche in questo luogo, rendendoci la vita impossibile.
Riteniamo non
vi sia motivo che il sacerdote entri nella nostra vicenda; per quanto
riguarda
gli obblighi di legge relativi alle dichiarazioni delle generalità
delle
persone, chiediamo come possiamo risolvere la questione, senza far
transitare i
dati per la parrocchia…»
Noi
spedimmo il fax non solo per informare i carabinieri ma anche per avere
nelle
nostre mani una ricevuta che confermasse le nostre parole, da mostrare
all’occorrenza.
Alcune
lumi sui pensieri di Monica
Come
abbiamo scritto sopra, Monica e i vicini volevano espellerci dal
condominio.
Alcuni lumi su tale comportamento si accesero il 17 dicembre ‘09,
quando per
caso di giovedì mentre rientravamo, sentimmo attraverso il muro alcuni
discorsi
tra i parrocchiani, riuniti nella stanza accanto. Una signora chiedeva
a Monica
se vi fossero belle notizie, ossia se era riuscita a farci andare via:
Monica
con rammarico rispose di no, confidando però di farci recapitare a
proposito
“una letterina ben fatta”, con la quale ci saremo tolti dai piedi.
Sentimmo che
volevano fare una Onlus e probabilmente serviva la nostra stanza, e
quello era
il motivo di tanta solerzia nel farci sloggiare, e non il fatto che
fossimo
persone sospette!
Quella
sera eravamo entrati poco prima della mezzanotte, e gli ospiti della
riunione
nella stanza accanto andarono via subito dopo, senza che nessuno si
accorgesse
di noi. Sabato due delle famiglie di condomini che si erano lamentate
con il
prete, si diedero a gara per consegnarci tale lettera sopra citata:
cosa
veramente inopportuna perché una copia della lettera era già stata
posta
all’interno della nostra stanza. E cosa ancora più triste è che
nell’opera si
cimentarono famiglie albanesi.
Eravamo
sicuri che la decisione di mandarci via non era dettata solo e
direttamente dal
prete, perché tali lettere, come altre volte, arrivavano sempre e solo
di
sabato, cioè in occasione della vendita di verdure fatta da Monica e
dunque per
noi erano azioni sue. Se il prete voleva parlarci o vederci poteva
farlo in
altri momenti.
Le
relazioni divennero ancora più fredde con Monica ed ai vicini chiedemmo
di
restare fuori dalla questione. Nonostante le lettere non fummo sbattuti
fuori e
pensammo che forse i CC di Città di Castello avessero contattato il
prete,
facendogli capire che non eravamo persone così pericolose. Inoltre
incontrammo
il prete per strada varie volte, e pur riconoscendoci dall’interno
della sua
Panda, non si fermò una volta per parlarci, segno per noi che le cose
si erano
sistemate.
La
pattuglia dei carabinieri del 6 febbraio
Ci
sono degli uomini che vengono a giocare nella stanza accanto. Si
radunano in
tre o quattro e giocano una volta ogni una o due settimane circa, un
gioco di
guerra che dura quattro o cinque ore. Quando giocano noi usciamo per
non
ascoltare i loro discorsi —il muro che divide le due stanze è fatto di
un
pannello di panforte sottile— e sappiamo, dalle parole di uno di loro,
che il
gioco lo fanno anche i militari alti in carriera. Molte volte iniziano
il gioco
verso le nove di sera, e noi in quel momento non ci siamo quasi mai;
quando
torniamo se vediamo la luce accesa aspettiamo per entrare fino a quando
vanno
via. Ecco cosa è capitato una di quelle sere:
«E’
da poco passata la mezzanotte, dalla strada
notiamo che vi è la luce accesa nella stanza accanto alla nostra. A
quest’ora
possono essere solo i giocatori: mentre camminiamo qualcuno di loro sta
guardando fuori e forse ci hanno visto in lontananza. Noi proseguiamo
diritti
fino al sottopassaggio del treno. Aspettiamo un po’ dall’altra parte e
ritorniamo a controllare se se ne sono andati. Controlliamo spesso,
camminiamo
anche per scaldarci. Mentre siamo nel sottopassaggio arriva una
pattuglia dei
carabinieri di Sammartino* e ci blocca proprio come si fa con i
criminali. Noi
siamo agitati, i carabinieri non ci conoscono e vogliono sapere chi
siamo, ci
hanno detto che sono stati chiamati a intervenire. Intervenire per
cosa? Non
siamo ubriachi e nemmeno facciamo fracasso. Diamo i documenti.
Spieghiamo un
po’ la nostra situazione e li invitiamo a mettersi in contatto con il
comando
di Città di Castello. Mentre uno di loro si mette in contatto, l’altro
ci fa
delle domande precise: capiamo che in qualche maniera hanno delle
informazioni
su di noi, sanno che siamo delle persone ospitate dal prete. Parlando
dei
motivi per cui abbiamo sempre i zaini spieghiamo che è per il fatto che
i
parrocchiani hanno le chiavi della nostra stanza, e non possiamo
lasciare
documenti incustoditi. Il carabiniere ci fa ripetere la frase davanti
al suo
collega, per fargli sentire la questione delle chiavi. Appena posto il
contatto
con Città di Castello, vengono informati dal collega che ci porta i
suoi saluti
e ci invita a telefonargli se ci sono problemi. »
Quella sera i giocatori rimangono fino a
circa le
due di notte e noi entriamo più tardi. Forse sono stati loro a chiamare
la
pattuglia, convinti che vogliamo nasconderci perché criminali. Dopo
l’intervento dei carabinieri non ci arrivano più le letterine e
speriamo che la
cosa si sia risolta: ipotizziamo che i carabinieri abbiano contattato
il prete
spiegando la nostra situazione, oppure che abbiano tranquillizzato,
seppur
ufficiosamente, chi ci riteneva così pericolosi.
Il
prete l’abbiamo incontrato altre volte in
giro
per Fenili*, ma non si è mai fermato per parlarci e per noi era segno
che era
tutto a posto.
Le letterine di
maggio
Il
22 maggio 2010 ritornano a presentarci le
“letterine” nella nostra stanza, sempre di sabato.
Il
sabato successivo 29 maggio ce ne mettono
un’altra.
Il
31 maggio ci troviamo il prete che guida a
passo
d’uomo a fianco a noi: ci fermiamo, sembra che ci abbia visto e quindi
ci
aspettiamo che si fermi per parlarci, invece questi gira l’auto e
prosegue,
come altre volte.
Pensiamo che le lettere siano i soliti
personali
tentativi di alcuni parrocchiani per mandarci via.
Conclusione
Il
primo di giugno accadde quello che abbiamo
narrato all’inizio del documento. Questa volta intervennero i CC di
Fenili*
sostenendo che siamo persone sconosciute e che dobbiamo andare via,
perché il
prete non ci vuole più tra i piedi. Ma noi non siamo persone
sconosciute:
avevamo già avvertito i carabinieri di Città di Castello della
situazione e
dove ci trovavamo, ed i carabinieri di Sammartino*, ai quali i
carabinieri di Fenili*
fanno capo, avevano già provveduto a prendere i nostri dati e
informazioni in
proposito, e ci avevano invitato a rimanere nella stanza della
parrocchia. E’
scioccante essere trattati ogni volta da delinquenti o essere
spaventati in
piena notte per delle questioni che intendevamo risolte.
Siamo dunque convinti che i rapporti con il
parroco
siano sanabili dai malintesi accorsi a causa di ingiurie e diffamazioni
che
sono state poste in giro per il territorio di Fenili*. Crediamo che i
carabinieri
possano spiegare appieno al Parroco il nostro comportamento, per
risolvere tali
problemi. Se il parroco ci rimetterà in strada non avremo probabilmente
possibilità di ottenere aiuto da altre parti. Per ora stiamo occupando
uno
sgabuzzino che non è utilizzato dalla parrocchia; per quanto successo
se ci
fosse possibilità saremmo i primi a liberare lo spazio.
Per
tutto il resto chiediamo di riferirsi ai
Carabinieri di Città di Castello che hanno una visione aggiornata e
storica
dell’intera nostra vicenda. Abbiamo deciso di mettere per iscritto
quanto
vissuto a Fenili* per due motivi: primo, per fare chiarezza, perché il
danno di
tutte queste chiacchiere e di tanto odio ci sta distruggendo la
possibilità di
tornare a una vita decente. Secondo, questo documento all’occorrenza
può essere
inviato come integrazione ai magistrati.
Grazie
Matteo e Giovanna